Le recensioni di alessandro

Eventi in Jazz 2009

di Alessandro Carabelli

 

Busto Arsizio è un luogo particolare. Una di quelle piccole città dove in apparenza sembra che tutto ruoti intorno ad una realtà industriale. Invece è anche un luogo fatto di mille fermenti culturali, di passioni, di progetti, di programmazioni ed è qui che dal 2002, in autunno, si parla di jazz. 

Quando arriva Eventi in Jazz nelle strade, nelle piazze, nelle corti, ovunque, risuonano gli echi di questa musica straordinaria che prende i sensi e l’anima. Dietro ad un’impeccabile organizzazione, a muovere le fila, c’è la collaborazione con l'Art Blakey Jazz Club, importante sodalizio di appassionati e cultori di jazz, presieduta da Achille Castelli, che ha predisposto un programma snello ed intelligente che ha permesso al pubblico di avvicinarsi a tutti i colori della musica jazz oltre che a raccogliere gli apprezzamenti dei molti esperti del settore che hanno trovato nella varietà delle proposte e nei generi diversi la chiave vincente della manifestazione.

Una manifestazione che è cresciuta nel tempo soprattutto dal punto di vista qualitativo e che è riuscita ad uscire dai confini del territorio, diventando una tradizione da non perdere e una rassegna che per costanza, qualità e importanza dei musicisti invitati, si piazza tra i più interessanti festival europei.

 

Quest'anno il palinsesto è stato quanto mai variegato e di altissimo livello con qualche concerto davvero originale e spiazzante in senso altamente positivo e come da tradizione, accanto al cuore della manifestazione sono gravitati eventi collaterali che hanno contribuito al successo delle precedenti edizioni, dilatando ulteriormente l'evento e coinvolgendo la città, grazie al sostegno di diverse realtà commerciali ed economiche.

 

La prestigiosa sede del Teatro Sociale ha ospitato tutte le cinque serate. Protagonista della serata inaugurale, il 19 ottobre, è stato il piano.

Dado Moroni accompagnato dal bravissimo Aldo Zunino al contrabbasso e Giuseppe Mirabella alla chitarra, ha dedicato la serata a Oscar Peterson con uno spettacolo dal titolo "An Oscar for Peterson Tribute".

Il concerto è stato molto stimolante, spumeggiante ed ha spaziato sui classici del repertorio di Peterson, prima con "Big farm Mama", poi "When sunny gets blue”, "Just in Time", “Django”, Body and Soul”, "Wave" “Like someone in love”, “Scrapple for the Apple”.

Moroni ha incarnato alla perfezione il mood petersoniano. Mai ridondante, mai scontato.

Sostenuto da una grandissima tecnica ed una straripante energia ha saputo parlare direttamente al cuore della foltissima platea estasiata, ripercorrendo fedelmente, e anche con un tocco di raffinata personalità, la difficilissima via segnata da Peterson, una via per pochi e virtuosi pianisti.

La maestria di Dado ha trovato poi nel giovane Mirabella una continuità ed un validissimo alter ego. Raffinato ed elegante nell’esposizione dei temi, equilibrato e tecnico nelle improvvisazioni, Mirabella ha sfoggiato una grande padronanza dello strumento e del fraseggio jazz dimostrando di essere ormai un’importante realtà del panorama musicale italiano.

Zumino, poderoso contrabbassista estremamente preciso ed efficace ha svolto un lavoro imponente. Senza sbavature ha fatto da collante e da solido sostegno al gruppo permettendo ai due solisti di improvvisare con gusto, di elaborare e di volare sulle ali dello swing.

 

Il 20 ottobre è stata la volta dei Gaia Cuatro vera sorpresa della rassegna. 

Il gruppo nasce dall'unione di due culture lontanissime, un incontro inatteso quanto mai geniale tra Argentina e Giappone. La formazione è composta, infatti, da due eccellenti musicisti argentini ed altrettanti giapponesi: Gerardo Di Giusto pianista, autore di quasi tutte le composizioni, Carlos “el Tero” Bruschini, basso - contrabbasso; Asha Kaneko violino e voce e Tomohiro Yakiro, percussionista.

L'intensità e il carattere ardente della musica argentina insieme alla raffinata tradizione musicale giapponese compongono la materia prima di questo quartetto eccezionale, nato dall'incontro tra due dei musicisti più emblematici della scena del jazz giapponese e due musicisti argentini particolarmente attivi sulla scena europea. 

La loro unione ha permesso di calibrare raffinate sonorità, un rilassato interplay, insolite strutture su pregevoli spunti tematici e un latente, ma sicuro, spirito jazzistico donando momenti di distillata poesia. 

La loro musica, totalmente inedita, è allo stesso tempo sorprendentemente familiare grazie alla sua la naturalezza ed eleganza. Una ricchissima tavolozza di colori straordinariamente amalgamati con sapienza e gusto.

Le composizioni del quartetto suonano gradevoli e mai complicate. Con originalità, sbalorditiva bravura nelle dinamiche ed eleganza armonica e melodica i Gaia Cuatro hanno saputo creare un connubio di sonorità nuovo e particolarissimo a metà strada tra le produzioni ECM, la travolgente passionalità del folklore argentino e la raffinatezza della musica rarefatta giapponese. 

La poderosa tecnica virtuosistica della nipponica Asha Kaneko e l’eleganza armonica e compositiva di Gerardo di Giusto supportati dall’energico dinamismo di Yahiro e Buschini hanno esaltato per quasi novanta minuti attenta platea incuriosita e affascinata da tanta bravura. Brani come “Habanera, la trascinante  “Endeveras”, l’enigmatica “Dos lunas” la dolcissima “Tardio” hanno saputo regalare intensi momenti di magia, entusiasmo e soprattutto grandi emozioni. 

 

La serata del 21 ottobre ha incoronato invece il concerto più acclamato dell’intera manifestazione. 

L’esibizione di Paolo Fresu con il suo quintetto è stata perfetta, straordinaria. Oltre al leader sono saliti sul palco Tino Tracanna ai sassofoni, Roberto Cipelli al pianoforte, Attilio Zanchi al contrabbasso ed Ettore Fioravanti alla batteria. 

La formazione più blasonata del panorama jazz europeo ha alle sue spalle una storia lunga ormai più di venticinque anni, essendo stato fondato nel lontano 1984 in occasione della registrazione del suo primo disco "Ostinato" per la Splasc(h) records.

Nelle oltre due ore di concerto in un Teatro Sociale gremito in ogni ordine di posto, Paolo Fresu ed il suo quintetto ha spaziato nella sua lunghissima discografia. Da “T.r.e.a.p.” a “Kosmopolites” da “Rosso, Verde, Giallo e Blu” a “P.A.R.T.E”, da “Incantamento” a “Thinking”. 

Fin dal primo brano, la celebre “Que reste t’il de nos amours” un brivido lungo la schiena ha pervaso tutta la platea.

Le note erano poesia, erano parole struggenti che toccavano i sentimenti più profondi, era la purezza del suono che ti fa sembrare semplice anche l’impossibile ma nulla era scontato, nulla era ovvio. 

I cinque musicisti tutti perfettamente comprimari, tutti sinergicamente uniti da un affiatamento unico, hanno dimostrato una vitalità artistica rara e preziosa. I due fiati hanno dialogato con un interplay consolidato, la batteria ha fatto prendere il volo alle dinamiche, il pianoforte ha raccolto e restituito i suggerimenti armonici del contrabbasso. 

I suoni si sono amalgamati con naturalezza, riflettendo ed esaltando le personalità artistiche degli interpreti: la passione della tromba di Fresu, la delicatezza del piano Cipelli, i ritmi della batteria di Fioravanti, l'armonia del sax di Tracanna, la profondità del basso di Zanchi. 

Energia, dolcezza, malinconia, ritmo si sono alternati e uniti come in una danza senza tempo ne confini sui brani come “Treap”, “Cosmopolitesse”, “Solo tu nell’universo” di Bruno Lauzi, “Blues for you “ del lontano 1986, “Second line”, “Riemann’s maid” fino a raggiungere l’apoteosi con “Fellini” e la straordinaria "Lascia ch'io pianga" di Georg Friedrich Händel. 

Assistere a questo concerto è stata una vera lezione d’arte, una perla meravigliosa e rara. Musica senza confini, senza etichette, melodie cristalline, arrangiamenti perfetti, maestria esecutiva, atmosfere ariose e liriche, tutto ciò dimostra come dopo più di venticinque anni d’esperienze musicali, il Quintetto di Paolo Fresu riesca a trasmettere una magia del suono che ora rasenta la perfezione ed un affiatamento tale da rendere riconoscibile l'impronta di raffinatezza musicale che lo contraddistingue e lo rende unico nel panorama musicale mondiale. 

 

Giovedì 22 ottobre è stata la volta di un altro gigante del Jazz e un vero punto di riferimento del panorama jazzistico mondiale: Joe Lovano con i suoi US5. Lovano per la prima volta si confrontava con solisti di una generazione successiva alla sua (se si eccettua il pianista James Weidman): Esperanza Spalding al contrabbasso, Otis Brown III e Francisco Mela a batterie e percussioni. 

La ritmica robusta ed imponente affidata a due validi batteristi e ad una poderosa contrabbassista è stata il cuore pulsante di tutta l’esebizione. Sonorità acide, dinamiche spregiudicate, arrangiamenti duri e spigolosi hanno tinto di colori forti la serata.

Atmosfere metropolitane, caotiche e a tratti convulse ed astratte sembravano volte maggiormente a stupire e a colpire l’ascoltatore più che a coinvolgerlo. I brani per tenore, in più occasioni vicini al quartetto coltraniano, hanno fatto da contrappunto ad atmosfere più sperimentali, con Lovano impegnato anche con l’aulochrome (doppio soprano). 

La musica che ne è scaturita non era certo di facile ed immediata apprezzabilità, pur tuttavia la sempre splendida classe di Lovano costellata di felici intuizioni ed illuminata da una splendida scrittura e da assoli ispirati e travolgenti hanno saputo rendere interesante la serata. 

Il risultato complessivo dello spettacolo è stato comunque brillante e stimolante anche se troppo spesso il leader si è defilato regalando immensi spazi ai suoi giovani musicisti durante i quali hanno potuto dimostrare (tal volta eccessivamente) le loro notevoli doti tecniche e solistiche.

 

La serata conclusiva del 24 ottobre è stata affidata a Bobby Watson, vera icona del sax contralto, e ai  suoi Live and Learn.

Il pubblico delle grandi occasioni ha accolto il sestetto che non ha certo deluso le aspettative.

Affiancato dal fedelissimo Curtis Luny (poderoso contrabbassista già accompagnatore di Watson con il “29th Street Saxophone Quartet” negli anni ’80 e con gli Horizon negli anni ’90) Watson ha presentato un nuovo coraggioso progetto chiamato “Live and Learn” formato da giovanissimi quanto bravissimi musicisti quali Philip Dizack alla tromba, Harold O'Neal al pianoforte, Warren Wolf al vibrafono e Quincy Davis alla batteria.

Si è assistito ad un grande jazz, ricco di pathos che alternava suoni impetuosi a tratti frenetici a momenti intensi, lirici, struggenti e meditativi.

Classici evergreen come “In a sentimental mood”, “Moanin’ “ hanno intercalato le più recenti composizioni di Watson come “Aye Carumba”, “From the Heart”, “Waiting to go” o la splendida “Purple flowers” del giovane pianista O’ Neal. 

Il superbo sax di Watson, combinando una ragguardevole destrezza e una sfavillante energia si è fuso meravigliosamente con gli strumenti dei giovani talenti che lo accompagnavano.

Passionale ed energico allo stesso tempo, Watson non è mai stato banale e scontato nei suoi fraseggi. Sapientemente ha saputo dosare tradizione e modernità, cuore e tecnica, passione e cattiveria. Come un saggio alchimista è riuscito sempre a trovare quel giusto equilibrio e quel perfetto bilanciamento necessario per affascinare il pubblico e creare quella magia che si chiama Jazz.

Senza mai dominare ne far prevalere il suo innato carisma, da vero caposcuola Watson, come in precedenza Lovano, ha spesso regalato ampi spazi (forse troppi) ai suoi giovani compagni di palco.

Su tutti hanno brillato i soli di Warren Wolf, virtuoso vibrafonista e vera promessa del jazz moderno e di O’Neal, talentuoso pianista e compositore, cultore delle ardite armonizzazioni e dal lirismo innato. 

"... over all, I think the main thing a musician would like to do is give a picture to the listener of the many wonderful things that he knows of and senses in the universe. . .

That’s what I would like to do. I think that’s one of the greatest things you can do in life and we all try to do it in some way. The musician’s is through his music"

 John Coltrane