Le recensioni di alessandro

Oregon 

In stride

 

La straordinaria avventura degli Oregon ha compiuto quarant'anni, un traguardo celebrato con un tour mondiale e con la pubblicazione di “In Stride”, registrato a New York all'inizio del 2010.

Lo loro collaborazione comincia nel 1970, quando il chitarrista Ralph Towner, il contrabbassista Glen Moore, l'ancista Paul McCandless e Collin Walcott, studioso di musica indiana e suonatore di sitar e tabla, decidono di esplorare un'inedita sintesi di strumentazione classica europea, armonie del jazz americano e influenze musicali da ogni continente.

Variamente accostata all'estetica new age, alla world fusion e al jazz da camera, la musica degli Oregon è caratterizzata da un'intensa interazione d'insieme, dall'attenzione ai contrasti timbrici e naturalmente dall'estrema apertura ad ogni influenza culturale. Unitamente all'approccio innovativo e dinamico, la band ha sempre mantenuto centrali l'improvvisazione e la composizione collettiva, elementi che ne attestano saldamente l'appartenenza alla tradizione jazz.
Dopo la scomparsa di Walcott, avvenuta nel 1984 in un incidente stradale, il gruppo ricorre per qualche anno al percussionista indiano Trilok Gurtu, che nel 1996 viene sostituito, da Mark Walker. 

Innumerevoli sono stati i capolavori che gli Oregon hanno saputo disseminare lungo il loro prolifico cammino; da “Icarus” e “Ghost Beads” (composizioni che hanno varcato i confini del pianeta da quando gli astronauti dell'Apollo hanno battezzato così due crateri lunari), a “Music of another present era”, da “Winner Light” a “Ecotopia”, da “45th Parallel” a “ Always, never, forever,” a “Beyond words” fino agli ultimi capolavori “Oregon in Moscow” con la Tchaikovsky Symphony Orchestra della Radio di Mosca, “Prime” e “1000 Kilometers”.

Con “In Stride”, recente lavoro per la CAM Jazz,  gli Oregon giungono a quota ventotto nella discografia ufficiale e il risultato non delude le aspettative.

Un disco intenso, sempre ai confini della ricerca e della sperimentazione ma caratterizzato anche da veri capolavori ricchi di lirismo e forte intensità come la favolosa ballad dalle sonorità evansiane “Summer’s end” o la poetica “Aeolus o la colta ed evocativa “On the rise”.

In tutto il disco si assaporano gusti fortemente narrativi, caratterizzati da un’accuratezza degli impasti sonori davvero fuori dal comune e nel tipico stile del quartetto.

Fin dal brano d’apertura, “In stride” mostra con fragorosa potenza cosa e quanto ha ancora da dire un gruppo come questo.

Gli intrecci sonori tra Towner e McCandless disegnano lunghissimi dialoghi tra i due solisti, come una sorta di onirico volo pindarico in cui i due, senza mai voler primeggiare, mostrano la loro vivace e fantasiosa vitalità fatta di narrazioni, idee e d’immensa bravura.

Dal canto loro, la solidità di Moore e l’esuberanza di Walker ne sono il perfetto equilibrio e costituiscono le basi perfette per una struttura solida e del tutto paritetica.

Tutto il lavoro si dipana con semplicità intelligenza, cultura e ricchezza di brio e conferma dunque la bontà di una formula ben collaudata e consolidata nel tempo ricca di certezze per una proposta musicale capace di rinnovare le emozioni ad ogni ascolto. 

Le stesse emozioni si sono avvertite assistendo alla loro esibizione italiana.

La prima data del loro tour europeo è stata in occasione del festival “Eventi in Jazz 2010” in Busto Arsizio (VA).

Incanto, magia, genialità, sono state le indiscusse star di un concerto effervescente, in cui una straripante platea estasiata ed entusiasta, ha tributato il doveroso successo.

Nelle oltre due ore il quartetto ha offerto emozioni di rara bellezza e perfezione stilistica, ripercorrendo i momenti più significativi ed intensi della loro longeva carriera artistica: da “Pepe Linque” a “Green and Golden” fino a “Witchi-Tai-To” assieme a molti brani tratti dalla loro ultima fatica “ In stride”.

Come si poteva facilmente immaginare, l’esibizione ha confermato l’altissima qualità sia sul piano compositivo, sia su quello strumentale: è sempre stupefacente ascoltare la raffinatezza e la monumentale bravura di Towner alla chitarra e al pianoforte o di McCandless, delicatissimo all'oboe, impetuoso al soprano e al sopranino, profondo al clarone, così come di Glen Moore virtuoso anche al basso elettrico o di Walker, precisissimo e ricco di quella giovanile vitalità. 

Malgrado possano vantare quasi mezzo secolo d’attività artistica e dell’aver scritto tra le più importanti pagine della storia della musica contemporanea, gli Oregon non si sentono ancora appagati e hanno dimostrato questa energia e questa vivacità con la voglia di mettersi in gioco ed il desiderio di sperimentare nuove vie e nuove sonorità dedicando perfino una lunga parte del concerto interamente all’improvvisazione.

L'intensità e la sinergia dei suoni era perfetta, la genialità delle soluzioni sorprendente e sgorgava limpida e pura nota dopo nota in ogni improvvisazione ed in ogni brano.

Ma è stata, soprattutto, la profonda passione che muove ancora dopo tanti anni e tantissimi concerti questi fantastici musicisti, e per l’intera durata del concerto ad aver commosso, entusiasmato e regalato una grande pagina di vita oltre che di musica.

 

"... over all, I think the main thing a musician would like to do is give a picture to the listener of the many wonderful things that he knows of and senses in the universe. . .

That’s what I would like to do. I think that’s one of the greatest things you can do in life and we all try to do it in some way. The musician’s is through his music"

 John Coltrane