Le recensioni di alessandro

Eventi in Jazz 2008

di Alessandro Carabelli

 

Dopo il successo degli anni scorsi,  anche quest’autunno le calde note del jazz hanno acceso la vita culturale cittadina. 

Dal 18 ottobre gli “Eventi in Jazz”, giunti alla VI edizione, hanno portato, come da consuetudine, artisti di grandissimo livello nei principali teatri cittadini quali il Sociale, il Manzoni, il Lux, Fratello Sole, con un cartellone davvero invidiabile.

Fondamentale anche per questa edizione, la collaborazione con l’Art Blakey Jazz Club, importante sodalizio di appassionati e cultori di jazz, presieduta da Achille Castelli, che ha preparato un programma che permette al pubblico di avvicinarsi a colori  della musica jazz.

E’ stato un vero happening del jazz, una festa che ha coinvolto tutta la città per un’intera settimana e che ha saputo accontentare i numerosissimi appassionati accorsi e ad incuriosire e ad avvicinarne di nuovi. 

Innumerevoli sono stati gli eventi collaterali: dalle mostre fotografica allestite nelle sedi dei concerti a cura dei fotografi dell’AFI e dei fotografi accreditati alla rassegna, agli “aperitivi jazz” tenuti nei vari bar e pasticcerie del centro cittadino, ai dopo-concerto, in cui il pubblico poteva incontrare e salutare i musicisti davanti a buffet diversi allestiti con la collaborazione di molti ristoratori cittadini che hanno sostenuto la rassegna.

 

Il 18 ottobre, l’apertura della settimana bustocca è stata ospitata dalla Fondazione Bandera per l’Arte con l’inaugurazione della mostra di Giac Casale, intitolata “Visioni in jazz”, definita come una ricerca sull’essenza dei suoni dei grandi jazzisti.

La mostra è stata accompagnata dall’esibizione della figlia, Rossana Casale e del suo jazz Quintet con Luigi Bonafede (pianoforte), Aldo Mella (contrabbasso), Roberto Regis (Sax alto e soprano), Francesco Sotgiu (batteria). 

Malgrado la sede non fosse tra le più indicate e adatte per ospitare dei concerti (è infatti un capannone industriale in disuso riconvertito in spazio espositivo), penalizzati da una terribile acustica e da un’ambientazione piuttosto squallida, il quintetto ha saputo con grande classe ed eleganza scaldare ed entusiasmare il pubblico grazie alla splendida voce di Rossana Casale e alle ance di Roberto Regis, vero fuoriclasse dello strumento. 

 

Il 20 ottobre si è svolta presso il teatro Fratello Sole la prima vera serata del festival affidata al quartetto Francisco Mela Cuarta Justa composto dal leader Francisco Mela (batteria), Jevier Vercher (sassofono tenore), Kenny Verner (pianoforte), Edward Perez (contrabbasso).

Cubano di nascita statunitense di adozione, Francisco Mela fa parte di quella nuova generazione musicale americana che sta davvero facendo passi da giganti nel panorama jazz internazionale.

A cavallo tra hard bop e tradizione cubana con sporadiche incursioni nel free e nel modale, questo è lo strano ma efficace cocktail musicale del Francisco Mela Cuarta Justa. Il risultato che si ottiene sono sonorità cupe, composizioni molto dure, a tratti violente o ipnotiche e grande tecnica esecutiva.

Tutti si sono dimostrati strepitosi ma il leader merita una menzione particolare per pulizia, vitalità e quantità di sensazioni regalate. Senza picchiare sui piatti e sui tamburi è stato un cuore pulsante sempre presente ed incalzante. 

 

Atmosfere totalmente differenti ha accolto il pubblico della serata del 21 ottobre al teatro Lux dove si è esibito il mitico trio Doctor 3.

Dailo Rea (pianoforte), Enzo Pietropaoli (contrabbasso), Fabrizio Sferra (batteria) rappresentano uno dei trii italiani più importanti e longevi del panorama jazz.

La formazione, nata nel 1997 in occasione del loro primo lavoro discografico, "The Tales of Doctor 3" (miglior disco italiano dell'anno per Musica Jazz), negli anni ha progressivamente consolidato l'affiatamento artistico ed umano dei suoi componenti, proponendosi con continuità dal vivo e realizzando dischi caratterizzati dalla capacità di effettuare viaggi musicali ai confini del jazz. 

Hanno proposto, come loro consuetudine, un jazz melodico, straordinariamente suonato e che può essere apprezzato anche da chi è totalmente alieno a questo genere musicale. 

Molti ritengono questo jazz ruffiano, strappa applausi, stucchevole ma queste critiche lasciano solo il tempo che trovano. Quello che è certo è che il pubblico era entusiasta, coinvolto, divertito. E poco importa se oltre gli standard classici sono state riprese in chiave jazz melodie ad esso apparentemente estranee, dimostrando che è possibile ampliare a dismisura i materiali musicali che in questo modo possono essere riletti e trasfigurati. 

I temi dei brani proposti dal trio, dagli standards classici a brani di autori di musica leggera come De André, dalle colonne sonore ai Beatles, mantenevano inizialmente la loro identità, per poi perdersi progressivamente e con naturalezza in improvvisazioni fantastiche dove l'interplay tra questi tre musicisti sembrava davvero andare oltre fino a raggiungere una sorta di telepatia. 

Ciò che colpisce è la fantasia con cui Danilo Rea affronta le parti solistiche, assolutamente libero da cliché, sempre estremamente lirico e comunicativo; ma anche l'approccio al ritmo estremamente creativo di Fabrizio Sferra, che sfrutta appieno le colorazioni timbriche del suo strumento; oppure il contrabbasso di Enzo Pietropaoli, sempre puntuale nel seguire la strada indicata da Rea e a proporre egli stesso delle deviazioni. 

 

Il 22 ottobre al Teatro Sociale si è assistito probabilmente al concerto più esaltante ed acclamato dell’intera programmazione 2008: l’esibizione degli Yellowjackets.

Il leggendario jazz quartet composto da Jimmy Haslip (basso), Bob Mintzer (sax), Marcus Baylor (batteria) e Russel Ferrante (pianoforte e tastiere) hanno offerto un’esibizione capolavoro. 

Con quattordici album alle spalle, oltre un milione di copie vendute, centinaia di concerti in tutto il mondo, sono la più longeva e creativa fusion band della storia. E non solo per un fatto di continuità anagrafica (il gruppo esiste dal 1977), quanto per una esplosiva spinta a sperimentare continuamente linguaggi, fusioni e contaminazioni e a rivedere il proprio orizzonte espressivo alla luce di nuove acquisizioni stilistiche. 

Sono un perfetto meccanismo per fare musica, impeccabile e compatto. Non si può non rimanere ammirati dalla perfezione degli arrangiamenti e dalla coesione dei musicisti, i cui strumenti si incastrano l'uno nell'altro per definire un sound unico, compatto, esplosivo. 

Perfezione stilistica, grande tecnica individuale ma soprattutto grandi idee si sono viste nelle oltre due ore di concerto ininterrotte.

Grandissimo affiatamento, intuizioni armoniche ardite e geniali, tecnica sbalorditiva senza però mai strafare, senza mai ostacolarsi senza mai cercare di primeggiare.

Una sinergia musicale incredibile supportata da una ritmica meravigliosa. Jimmy Haslip precisissimo come sempre, Marcus Baylor bravissimo, eclettico e fantasioso non fa rimpiangere lo storico e da molti rimpianto William Kennedy, Bob Mintzer colosso indiscusso e sempre ai massimi livelli espressivi supportato meravigliosamente da un Russel Ferrante perfetto in ogni suo intervento. 

La maggior parte del concerto si è concentrata sulle composizioni tratte dai loro ultimi lavori come Lifecycle o Altered State o Time Squared ma la vera apoteosi di emozioni tra il pubblico c’è stata quando sono risuonate le note dei loro classici: Greenhouse, Claire’s Song da Mirage a Trois o One Family da Shades. Uno spettacolo che tutti ricorderanno per molto tempo, fino a quando questi “marziani” ritorneranno a regalarci nuovamente sogni ed emozioni. 

 

Un’altra super band, questa volta tutta italiana, ha affascinato ed incantato la serata del 23 ottobre.

Sul palco del teatro Manzoni si sono esibiti i Latin Project. Il quintetto si avvale di Fabrizio Bosso (tromba), Javier Girotto (sassofono baritono e soprano), Natalio Mangialavite (tastiere), Lorenzo Tucci (batteria), Marco Siniscalco in sostituzione di Luca Bulgarelli (basso elettrico). 

I due leader Bosso e Girotto supportati da un’eccellente ritmica hanno creato atmosfere splendide.

L’hard bop di cui Bosso è alfiere indiscusso e gli influssi latini e le ritmiche argentine di Girotto hanno dato origine ad accostamenti pregevolissimi. Lo spettacolo si è basato su composizioni originali tratte dal loro cd in prossima uscita fatta eccezione per lo standard “The shadow of your smile”. Tutto è stato perfetto, non scontato, affascinante. I rapidi cambi di timbro, gli unisoni, le armonizzazioni tromba sassofono, i soli strabilianti di un Bosso in grande forma, la grinta di Girotto, il grande interplay con la ritmica precisa e sempre presente. 

Il pubblico accorso numeroso è stato entusiasta di scoprire una bellissima e nuova realtà italiana, vivace, tecnica, brillante ma non narcisistica, melodica ma non scontata.

 

Totalmente dedicata ad una leggenda del jazz, la serata del 25 ottobre ha visto sul palco del teatro Sociale il progetto Remembering Weather Report con il mitico Miroslav Vitous (contrabbasso), Franco Ambrosetti (tromba), Gary Campbell (sassofono), Gerald Cleaver (batteria). 

Chi si aspettava di ascoltare le sonorità più amate ed apprezzate del cosi detto “secondo periodo” del celebre gruppo che dal 1976 diede alla luce capolavori come “Black market”, “Heavy weather”, “8:30” è stato profondamente deluso. 

La formazione ha infatti rivisitato esclusivamente il repertorio sperimentale del leggendario gruppo quello di "I Sing The Body Eletric", "Live In Tokio", "Sweetnighter" e "Misterious Traveller" oltre a un tributo doveroso a Joe Zawinul. 

Musica totalmente sperimentale quindi quella che è stata presentata, free jazz, musica atonale (se si fa eccezione della sola “Stella by starlight” eseguita come bis finale) e ciò ha spiazzato e non poco il folto pubblico accorso per l’occasione.

I quattro musicisti hanno comunque dato saggio della loro bravura per quasi due ore di concerto e soprattutto vanno citati il solito “gigante” Miroslav Vitous che si è dimostrato in grande forma sfoggiando una tecnica all’archetto sempre strepitosa e di grande impatto e Franco Ambrosetti, da sempre considerato uno tra i più importanti jazzisti della scena europea, ha brillantemente dato mostra di un fraseggio unico ed impareggiabile anche in un contesto non proprio consono alle sue grandi doti liriche. 

 

A commiato di questa sesta edizione di Eventi in Jazz, la serata finale il 26 ottobre è stata dedicata alle sonorità jazz manouche proposte dall’ Al Taim Jazz Manouche Quintet. Capitanato dal talentuoso Marco Michieletti (clarinetto, fisarmonica) e con Fabio Bruccoleni (chitarra), Michele Scaltritti (chitarra), Jacopo Guerrini (basso elettrico), Carlo Attolini (batteria) il giovane quintetto ha dato vita a una divertente serata, briosa, molto accattivante costruita per gran parte sui classici del repertorio jazz come “ Misty” o “It had to be you” ma anche molte composizioni originali e soprattutto tantissimo Django Reinhardt. 

Una serata allegra e spensierata a degna conclusione di un’edizione di Eventi in Jazz sicuramente ben riuscita e magistralmente orchestrata, che ha saputo appassionare e regalare per una intera settimana grande intrattenimento, cultura e meravigliosi ospiti.

"... over all, I think the main thing a musician would like to do is give a picture to the listener of the many wonderful things that he knows of and senses in the universe. . .

That’s what I would like to do. I think that’s one of the greatest things you can do in life and we all try to do it in some way. The musician’s is through his music"

 John Coltrane